Alla ricerca del suono primordiale

Il corso di Arte Scenica Indiana della facoltà di “Tradizioni Musicali Extraeuropee a indirizzo indologico” del Conservatorio “Arrigo Pedrollo” di Vicenza, ideato e condotto fino al 2013 da Marilia Albanese, prevedeva come prova di esame la stesura di un progetto scenico e, nei limiti del possibile, la sua esecuzione. Quello che veniva richiesto agli allievi era la capacità di tradurre in fattibilità concrete le loro ideazioni immaginifiche e artistiche. L’esame permetteva all’allievo di esprime liberamente la propria creatività, condividendo quanto prodotto con i compagni e la docente, in un clima disteso e solidale, a riprova di come un momento obbligato e temuto possa trasformarsi in occasione di ulteriore apprendimento e scambio. Ad esempio dei lavori effettuati si propone l’elaborato di Paola Tagliaferro, anno accademico 2012/2013.

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PASSATO, PRESENTE, FUTURO
ALLA RICERCA DEL SUONO PRIMORDIALE

di Paola Tagliaferro

 Da anni, con i musicisti con i quali collaboro, sperimentiamo con improvvisazioni spontanee alla ricerca di nuovi suoni per tentare di oltrepassare le barriere delle consuetudini e dei modi musicali. Proprio durante questa ricerca ci siamo resi conto che tutto nasce dalla storia antica del suono ed è così che è iniziato il mio percorso di studi di tradizioni musicali extraeuropee con indirizzo indologico presso il conservatorio “Arrigo Petrollo” di Vicenza.

Già nel 2000 a.C,  negli antichi libri “Veda”, si hanno notizie di strumenti usati per suonare i raga e loro descrizioni.

Nella cultura indiana, e non solo, si pensa che il mondo ebbe origine dal suono, forse è quel suono che i musicisti cercano da sempre. Come riporta il prof. Marco Paciolla nel “Pensare musicale indiano” sintetizzando le parole della “BhagavadGita”: “A quel modo che un uomo abbandona i suoi vecchi vestimenti e ne prende di nuovi” così il sé abitante nel corpo abbandona i suoi vecchi corpi e ne prende di nuovi; allo stesso modo, il sapere metafisico del suono ha continuato a cambiare linguaggio, modo di espressione, forme, senza perdere la propria essenza.

E ancora seguendo un altro passo della “Gita” in cui Krishna dice “Tutto questo universo è infilato in me, come un mucchio di perle in un filo”, si potrebbe dire che la tradizione arcaica è il filo che unisce tutte le sintesi che si sono susseguite nel tempo.

Un’altra immagine… è quella della ruota e del perno… il perno rappresenta il silenzio, l’immobilità, il non manifesto, che sono la causa e il motore della ruota, che rappresenta, invece, i suoni, il tempo, la manifestazione della molteplicità delle forme.

In occasione del concerto che l’Accademia Internazionale delle Arti, da me fondata, ha organizzato il 15 giugno per i fratelli Gundecha a Zoagli è nata la composizione che sottopongo all’esame di arte scenica.

Il lavoro si divide in tre parti :

1° parte: improvvisazione classica “L’allievo riceve i maestri”
2° parte: suoni elettronici e acustici. Tagore, mantra, improvvisazioni vocali.
3° parte: improvvisazione spontanea su ciclo ritmico “Bhakti marga: echi nel battito universale” (bhakti marga = via della liberazione tramite la devozione)

ANALISI DEI COMPONENTI

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Rabindranath Tagore, conosciuto anche con il nome di Gurudev, (in bengalese Rabíndranáth Thákhur), nacque a Calcutta il 6 maggio 1861 da una famiglia nobile e ricca, illustre anche per tradizioni culturali e spirituali.

La sua straordinaria creatività artistica lo indirizzò anche verso la poesia, la musica, la danza e la pittura. Compose liriche che musicò lui stesso e tradusse in inglese, e dipinse quadri che l’Occidente conobbe nelle esposizioni che vi fece. Con la sua attività artistica di poeta, musicista, scrittore, drammaturgo, pittore e la sua visione filosofico-religiosa, nel tempo divenne molto noto e fu apprezzato in tutto il mondo.

Tagore si propose di conciliare e integrare Oriente ed Occidente e tenne numerose conferenze in Oriente e in Occidente portando la sua filosofia.

Nel 1901 creò a Santiniketan (che significa: asilo di pace) presso Bolpur, a 100 chilometri da Calcutta, una scuola dove attuare concretamente i propri ideali pedagogici: gli alunni vi vivevano liberamente, a immediato contatto con la natura, e le lezioni consistevano in conversazioni all’aperto, secondo l’uso dell’antica India.

Il pensiero religioso-filosofico che sta alla base di tutta l’opera di Tagore è espresso organicamente soprattutto in “Sadhana”, ove raccolse una scelta delle conferenze tenute nella sua scuola di Santiniketan. Esso si fonda su un panteismo mistico che ha le sue radici nelle “Upanishad”, anche se è aperto ad altre tradizioni culturali. Partendo dalla contemplazione della natura, Tagore vede in ogni sua manifestazione la permanenza immutabile di Dio e quindi l’identità tra l’assoluto e il particolare, tra l’essenza di ogni uomo e quella dell’universo. L’invito a cercare il significato dell’esistenza nella riconciliazione con l’universale e con l’essere supremo percorre tutta la filosofia indiana, e Tagore ne è stato uno dei maggiori maestri nel XX secolo.

Come afferma la dottoressa Marilia Albanese nel suo bellissimo articolo sul Teatro di Tagore in “Omaggio a Tagore, un genio dai mille volti” edito dall’Associazione Culturale Italia-Asia, la famiglia ebbe un ruolo fondamentale nella formazione di Tagore come attore e come regista, insegnandogli che il teatro è comunione affettiva e risultato di diverse modalità espressive: verbali, mimiche, coreutiche, canore e musicali.

Per gli apparati scenici Tagore si appella alla propria creatività, rifiutando il palcoscenico “all’occidentale” con scenografie dipinte di dubbio livello artistico che non lasciavano spazio all’immaginazione del pubblico, per scegliere invece scarni allestimenti. 

Per la sua poesia così armonica e bella e per la sua modernità ho scelto Tagore. La ricerca di fusione delle culture tra Oriente e Occidente e le sue rappresentazioni con scenografie minimaliste che lasciano la mente libera di immaginare e vivere la propria esperienza estetica in maniera profonda e unica rendono, a mio modesto parere, Tagore un poeta e un artista senza tempo.

Nella musica indostana (India del Nord) i temi trattati, oltre agli aspetti spirituali e devozionali, comprendono colori, stagioni, passioni ed intrecci romantici umani. Una particolare importanza è data al bhava, ovvero l’intensità che il musicista può mettere nel rappresentare emozioni e sentimenti (rasa). L’uso delle shruti (unità microtonali), come pure delle varie forme di ornamentazione, è più ristretto rispetto alla musica carnatica (India del Sud).

Il DHRUPAD è una forma musicale religiosa con versi in sanscrito, la cui origine si colloca tra il 2° ed il 7° secolo A.D.

Tra il 15° ed il 16° secolo lo stile Dhrupad iniziò ad essere patrocinato dalle corti reali. Dall’ambientazione dei templi e dai contenuti eminentemente religiosi si passò a contenuti più secolari, quali eulogie degli imperatori, racconti di gesta eroiche e perfino forme di elegante poesia in ammirazione della bellezza femminile, in particolare di Radha, la compagna di Krishna.

I musicisti in queste corti provenivano anche da altri paesi e questo portò ad una completa fusione dei sistemi musicali Indiano ed Islamico.

Caratteristiche del Dhrupad sono:

* l’enfasi nel mantenere la purezza del raga e l’eleganza nell’uso delle note
* il carattere austero, mascolino ed una presentazione precisa ed ordinata con stretta osservanza del tala, generalmente suonato dal pakhawaj (tamburo)
* l’importanza data alla qualità poetica ed all’eccellenza letteraria del testo

La musica indiana si è tramandata con tradizione orale da maestro ad allievo attraverso i secoli nell’ambito dei gharana (clan-scuola). Ogni gharana è specializzato in un genere della musica classica indostana. Per o più i componenti di un gharana appartengono allo stesso lignaggio famigliare.

Attualmente si riconoscono tre scuole principali di stile Dhrupad e una di queste è:

DAGAR GHARANA, originato da Ustad Behram Khan (1753-1878) della corte di Jaipur. Le caratteristiche di questo gharana sono il carattere meditativo/devozionale, la lunga esposizione dell’alap e l’enfasi data alla purezza del suono. I fratelli Gundecha sono tra i massimi esponenti contemporanei di questo gharana.

Per la composizione che presento hanno scelto Rag Bhairavi. Bhairavi è uno dei principali raga ed è infatti uno dei dieci that, cioè rappresenta un gruppo di raga che usano il suo modo di esporre le note. La scala, o jati, usata è sampurna, cioè con 7 note. I movimenti ascendenti e discendenti aroha-avaroha  usano le 7 note con R , G, D e N komal (bemolle). La vadi o nota importante attorno alla quale la melodia tende a svilupparsi è il Sa, mentre la nota d’appoggio ad essa è il Pa. Caratteristici di Bhairavi sono le shruti, microtoni, di R e N. Lo prhamar, cioè la fascia oraria entro la quale va eseguito il raga, è quella del mattino (8-11) , ma nei tempi moderni  viene spesso usata a conclusione dei concerti. Il raga è “ ciò che colora la mente” mentre il rasa ne è il “suo sapore”(emozione). Il rasa di Bhairavi esprime: bhakti (abbandono all’amore totale per la divinità), karuna (pathos, solitudine per l’assenza dell’amato), shringara (desiderio romantico-erotico, forza creativa universale), shanti (pace, tranquillità).

Bhairavi è colei che i poeti descrivono come la consorte di Bhairava, un aspetto del dio Shiva, con grandi occhi, seduta su un trono di cristallo intarsiato sul picco del Kailasha, che adora il marito al suono dei cembali, con foglie e fiori di loto.

“Ci sono musiche, versi, quadri, idee scientifiche, attitudini morali, condannati a conservare davanti alla folla un’ irrimediabile verginità.”  Ortega Y Gasset.

L’esecuzione del raga nel Dhrupad è articolata in tre momenti:

1°: alap (preludio improvvisato sulla melodia del raga, lento movimento di un’idea, libero, senza tala ); 2°: vistar (composizione poetico-melodica); 3°: layakari (improvvisazione ritmica sul tema della composizione ).

Il tala è il ciclo ritmico nella musica indiana. Un tala è formato da un certo numero di matra (unità ), raggruppate in vibhag (sezioni), che sono accentuate da un battito delle mani (tali) o da un movimento delle mani in levare (khali). Un ciclo completo si chiama avarta ed in esso il primo matra è chiamato sam. Il ciclo riparte sempre dal sam. Puo’ essere suonato in tre diverse velocità: vilambit, madhya e drut (lento, medio e veloce). Il cautal ha 12 pulsazioni, 4 tali e 2 khali ed è il ritmo più caratteristico del Dhrupad.

Bhakti marga è una parola sanscrita e significa sentiero (marga) della devozione (bhakti). E’ un modo di vivere, un cammino verso il Cuore e verso la connessione con il Sé interiore e l’Amore Divino.

Marga è la musica colta.

L’interpretazione della musica marga deve procedere secondo quattro livelli: letterale, storico, cosmologico, metafisico. Letterale=rivolto alle norme che regolano i rapporti fra le varie costituenti il linguaggio della musica. Storico=analizza gli eventi in relazione al tempo e fra essi. Cosmologico=rintraccia l’applicazione di modelli cosmologici alla musica. Metafisico= si rapporta al linguaggio e alle forme.

La musica marga ha il compito di condurre l’uomo alla pienezza del proprio essere e al riconoscimento della propria vera essenza. La musica marga rende il piccolo uguale al grande, l’uomo come l’universo, e lo libera dalle norme sociali e culturali della società cui appartiene per indicarne altre di ordine universale. Questo è il dovere della musica marga che sottintende una “umanità” che va al di là della ragione, delle parole, delle forme.

Il Tantra Yoga è una delle tecniche più antiche per seguire il sentiero che porta alla pace e alla liberazione. Nel Tantra Yoga nada è il suono primordiale causa del mondo fenomenico. In musica nada ha due forme: ahata e anahata. L’ahata nada nasce nella gola dalla forza dell’aria sulle corde vocali, dalla forza delle mani sugli strumenti a percussione e dalla forza dell’arco. L’ahata nada è la struttura della musica che guida l’uomo verso l’anahata nada, il suono sottile localizzato nella mente, cioè il nada “senza percussione”. L’anahata nada deve la sua origine al risveglio dell’energia psichica. La tradizione ha collegato la ricerca dell’anahata nada (suono non prodotto) con l’ahata nada  (suono prodotto). Le menti creative “sentono” che gli elementi sono pregni di potenziale capacità di eccellere, come galleggiassero nel caos.

Il suono, circoscritto nella parola, trova liberazione nella musica. La musica eleva l’espressione artistica a metafora delle metafore. La musica è astrazione della percezione metaforica e libera grappoli di percezioni in ambito di esperienza o dei ricordi. L’origine è primordiale e la creazione è seguente a essa.

Fare musica, essendo opera dell’uomo, deve essere descritto come creazione e non come origine. Secondo Coleridge la creazione dell’arte non è soltanto un singolo atto compiuto tutto d’un fiato, ma un’alternanza di impulsi a creare e a contemplare quello che è già stato creato, come parte del lavoro che aspetta di essere completato.

Nell’alap, come nella nostra ricerca contemporanea libera, la musica vocale affascina senza ricorrere al linguaggio.

Il ritmo è un’arte indipendente, è la simmetria automotiva dell’andamento puro. In un recital ritmico, dopo che l’andamento di tutto il fraseggio ritmico è stabilito dal primo bol, l’intero lavoro ritmico sembra procedere attraverso un impulso, perché la mente si adegua facilmente al flusso ad andamento uniforme. Il ritmo può cambiare le sue forme in base alle esperienze vissute e dilatarsi o restringersi a seconda dell’emotività emersa nel ricordo della nostra memoria.

Troviamo nelle espressioni artistiche moderne la ricerca del suono del silenzio in compositori attenti come l’americano John Cage, che arrivò ad annegare la negazione semantica in 4’33” di silenzio, in una commistione gravida di senso tra significante e significato ormai imprescindibile per ogni artista contemporaneo. Un’operazione analoga a quella compiuta da Lucio Fontana e dai suoi celebri tagli nella tela. Anche qui, come in John Cage, il significante diventa significato. L’opera d’arte non è tanto la tela tagliata, esposta nei musei a testimoniare della valenza dell’effimero, irripetibile atto consumato nell’istante dell’esecuzione ma, piuttosto, l’aver tagliato la tela: quel gesto, la sua teatralità, il racchiudere in quella cesura, nel taglio, nell’attimo la separazione permanente.

Mantra è un sostantivo maschile sanscrito (raramente sostantivo neutro) che indica, nel suo significato proprio, il “veicolo o strumento del pensiero o del pensare”, ovvero una “espressione sacra” e corrisponde ad un verso del “Veda”, ad una formula sacra indirizzata ad un dio, ad una formula mistica o magica, ad una preghiera, ad un canto sacro o a una pratica meditativa e religiosa.

Il mantra più sacro, l’origine di tutti i mantra è AUM, composto da: A= stato di veglia in cui si ha conoscenza delle cose esteriori; U= stato di sogno in cui si ha conoscenza delle cose interiori; M= stato di sonno profondo a all’unità dell’essere

Il significante è il mezzo, il linguaggio; il significato il senso che tale linguaggio porta.

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I suoni esoterici anahata nada ricchi di microtoni di un tampura, strumento a corde, introducono la mia voce che improvvisa un breve e semplice alap che corre per corridoi fino ad aprire la porta, come l’allievo che apre la porta ai suoi maestri onorato della loro visita…

S r S d S A … r…. A N… Na … AA

Inizia un mistico alap di Raga Bhairavi, cantato da Ramakant e Umakant Gundecha. Segue una composizione di musica elettronica con fusione di suoni acustici: campana tibetana, tamburo, campane a vento.
La poesia di Tagore ci invita ad entrare con la mente nel profondo abisso alla ricerca del suono primordiale. La voce proseguirà poi passando dalla parola a sonorità antiche con un mantra e poi improvvisate. Tutto prenderà forma nel ciclo ritmico cautal, in 12 pulsazioni, che il maestro Akhilesh Gundecha scandirà con il pakhawaj.
Max Marchini con basso elettrico e io con la voce dialogheremo con sonorità moderne e libere, ascoltando il battito che diventa così il cuore di questo “corpo” astratto che si muove in un’altra dimensione.
Per andare nel futuro ed esplorare bisogna conoscere la storia e cercare di superarla, abbattendo regole e schemi alla ricerca del suono primordiale.

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Tagore
Lo spirito del poeta si alza e danza
Sulle onde della vita, tra la voce del vento e la voce dell’acqua.
Ora che il sole è tramontato e il cielo
S’abbassa nero sul mare, come una palpebra
Sull’occhio stanco, è tempo di lasciare la penna
E d’immergersi, con il pensiero, nel profondo abisso
Entro l’eterno mistero di quel silenzio.

Mantra

Om tryambakam yajaamahe / Sugandhim pusthir vardanam / Uruvaarukamiva bandhanam / Mrtyor muksiyamaamritam

Meditiamo nella realtà del terzo occhio
La conoscenza di colui che opera attraverso il terzo occhio
Permea, sostiene e nutre il tutto come un’essenza
Che ci possa liberare dal potere della malattia che ci rende schiavi
E che ci renda pronti a ricevere il nettare che rimuove l’ignoranza e che conduce alla liberazione.

Tal cautal 12 matra
Dha dha – din ta – tita dha – din ta – tita kata – Gadi gana

4 battiti rela
dha ge ge ge – na ge ge ge – din ge ge ge – na ge ge ge

Ramakant, Umakant Gundecha – canto
Akhilesh Gundecha – pakhawaj

Tagore
Facevate musica nel mio cuore, mie catene.
Suonavo con voi tutto il giorno, 
di voi facevo il mio gioiello.
Eravamo i migliori amici, catene mie! 
A volte vi temevo, ma la paura
Mi portava ad amarvi ancora di più.
Eravate le compagne della mia notte tenebrosa. 
A voi m’inchino prima di salutarvi, mie catene, e d’immergersi, con il pensiero, nel profondo abisso
entro l’eterno mistero di quel silenzio.

Paola Tagliaferro voce, tampura, campane a vento, campane tibetane
Max Marchini chitarra elettrica, basso e sound projection