Cina: le grandi donne della storia, nuovi miti negativi

di
Isabella Doniselli Eramo
(Centro di Cultura Italia-Asia )

per la serie di interventi “Miti che odiano le donne

Premessa

Obiettivo di questa relazione è evidenziare come nella Cina tradizionale la percezione della donna quale fattore destabilizzante dell’equilibrio dell’uomo, e quindi dell’armonia della società e del mondo, non sia propria soltanto della cultura popolare, delle leggende, dei racconti di spiriti, delle superstizioni. Anche una disciplina razionale e per definizione fondata su documenti quale è la storiografia ufficiale, in Cina da sempre appannaggio della classe dei letterati confuciani, è fortemente condizionata da questo pregiudizio, tanto da sancire l’ostracismo verso la libertà di pensiero e di azione delle donne, arrivando a negare o occultare l’evidenza dei fatti riportati nelle testimonianze documentali e finendo per creare nuovi miti negativi.
Questo studio non ha, per ovvi motivi, la pretesa di essere esaustivo della vasta e variegata materia, ma si propone di analizzare il tema, proponendo per una riflessione alcuni esempi particolarmente significativi.

Wu Zetian, imperatrice “dietro le spalle”

Wu Hou 武后 (Imperatrice Wu), conosciuta anche con il titolo di Wu Zetian 武則天 (Wu che si conforma al Cielo), nata Wu Zhao 武曌 [1] nel 624 nell’odierna provincia di Shanxi, figlia di un piccolo ma valente funzionario militare, molto stimato dall’imperatore Taizong 太宗 (regno 626-649), all’età di quattordici anni è ammessa come concubina nel prestigioso gineceo imperiale. È dotata di una formazione e di una cultura di tutto rispetto. Ha studiato i testi classici, sa di poesia, di musica, di filosofia, conosce la storia del suo paese e le condizioni politiche del momento. Entrata nel prestigioso gineceo imperiale, benché l’imperatore non si occupi di lei, gode di uno status sociale privilegiato e può continuare a dedicarsi ai suoi studi.

L'imperatrice Wuhou o Wu Zetian (624-705)
L’imperatrice Wuhou o Wu Zetian (624-705)

Alla morte dell’imperatore Taizong, nel 649 è costretta a ritirarsi in un monastero buddhista [2], come è prescritto per tutte le concubine e consorti imperiali che non hanno dato figli all’imperatore defunto. Continua i suoi studi e, inoltre, approfondisce la sua conoscenza del buddhismo, finché il giovane imperatore Gaozong 高宗 (regno 650-683) – che sicuramente l’aveva già conosciuta quando faceva parte dell’harem del padre – compie un gesto assolutamente irrituale e inaudito: la fa richiamare dal convento e la nomina sua prima concubina. Non solo: ne fa una sua collaboratrice e consulente nel governo dell’impero, fidandosi della sua cultura e delle sue competenze. Inevitabilmente questa situazione origina invidie, intrighi e lotte interne di palazzo; in questo contesto Wu Hou reagisce con molta abilità politica e con molta determinazione, difendendo con ogni mezzo il trono di Gaozong e, implicitamente, la propria posizione privilegiata. Anzi, sfrutta abilmente i conflitti interni alla corte per scalare ulteriori posizioni, fino ad occupare il ruolo di consorte principale dell’imperatore. In realtà la sua determinazione supplisce efficacemente alla debolezza di carattere di Gaozong, indeciso e di salute cagionevole, e per questo è sostenuta da un forte partito favorevole [3], che ne apprezza la capacità di assicurare stabilità e ordine all’interno dell’impero. Grazie a questo sostegno, quando nel 665 l’imperatore è colpito da un ictus (alcune fonti parlano, invece, di un infarto) e perde parzialmente le sue facoltà, l’imperatrice Wu riesce a prendere saldamente le redini del potere nelle proprie mani, consentendogli di conservare il trono ancora per quasi vent’anni, cioè fino alla morte avvenuta nel 683. La lotta è molto dura e senza esclusione di colpi perché, inevitabilmente, le condizioni fisiche dell’imperatore scatenano un’impressionante recrudescenza delle lotte per la successione e delle rivalità tra fazioni all’interno della corte e nel governo.

Gli storici cinesi di formazione confuciana, autori della storia ufficiale della dinastia Tang [4], non considerando accettabile neppure l’idea di una donna al governo dell’impero, spostano l’attenzione dalla sua eccellente amministrazione, concentrandola, invece, sulla sua condotta spregiudicata nelle lotte di potere. In proposito è molto lucida l’analisi del Fitzgerald:

«… Gli storici ortodossi cinesi, disgustati dalla spettacolo di una donna che governa apertamente l’impero contravvenendo a tutte le teorie confuciane della sovranità, non hanno reso giustizia all’imperatrice Wu e, non potendo negare l’eccellenza della sua amministrazione, hanno concentrato le loro critiche sulla sua vita privata, che non era irreprensibile.» [5]

Infatti, le storie ufficiali della dinastia Tang [6] sottolineano ripetutamente che Wu Hou «Regna alle spalle del trono», evidenziando il suo ruolo di “suggeritrice” dell’imperatore Gaozong e veicolando il messaggio che agisse nell’ombra, quasi plagiando e manipolando l’imperatore stesso. Così come si dilungano a stigmatizzare i metodi sbrigativi e talvolta crudeli con i quali sbarazza se stessa e l’imperatore Gaozong degli avversari politici e dei promotori delle congiure di palazzo. Effettivamente non si può negare che faccia eliminare fisicamente chiunque minacci il trono di Gaozong e, di riflesso, il suo potere personale. Ma utilizza né più né meno gli stessi metodi impiegati dagli altri contendenti (gli stessi impiegati da tutti gli imperatori e da tutti i protagonisti delle lotte di palazzo della storia cinese, prima di lei e dopo di lei): combatte ad armi pari. Ma a lei, donna, che esercita irritualmente in prima persona il potere, non viene perdonato. E ampio spazio è dedicato alla narrazione delle sue vere o presunte scorrettezze, dei suoi veri o presunti favoritismi, della sua pretesa dissolutezza, delle sue crudeltà, tramandando come accertate anche dicerie e calunnie infamanti, purché atte a oscurare la sua immagine di grande e capace sovrana.

Dopo la morte dell’imperatore Gaozong, Wu Hou deve constatare l’assoluta inadeguatezza degli eredi (e suoi stessi figli) a governare pur sotto la guida della sua reggenza, poiché tutti, indistintamente, sono succubi dell’influenza delle rispettive consorti e delle loro famiglie d’origine; ritenendo che ciò rechi grave danno alla famiglia imperiale, del cui onore e prestigio si sente responsabile, nel 690 si decide al grande e definitivo passo, estromettendo dal governo dell’impero tutti gli eredi al trono e assumendo in prima persona il titolo imperiale. Assume il titolo di Huangdi 皇帝 “Imperatore” e fonda una nuova dinastia cui conferisce il prestigioso nome di Zhou 周 [7]. Ciò le vale il marchio infamante di “usurpatrice”, attribuitole dalle storie dinastiche ufficiali. Oggi molti studiosi riconoscono che in questa fase Wu Zetian in realtà agisce al solo scopo di creare una cesura che sottragga la famiglia imperiale al baratro in cui le lotte tra cricche di palazzo, divenute incontrollabili, la stavano trascinando. Ne sarebbe prova il fatto che non ha comunque mai ammesso al governo alcun membro della propria famiglia d’origine, né ha mai conferito – al di là di alcuni titoli onorifici – cariche prestigiose ad alcuno di essi, dimostrando l’assoluta assenza di interessi personali. Ciononostante dai suoi contemporanei e dagli avversari politici è stata bollata come “usurpatrice” e come tale la tramandano anche molti testi in lingue occidentali [8].

Viene lasciato sullo sfondo quanto di positivo Wu Hou ha realizzato per l’impero Tang e viene minimizzato il fatto incontrovertibile che è stata la sola imperatrice della storia cinese, una figura unica e irripetibile di imperatrice non perché consorte o madre dell’imperatore, ma perché detentrice del potere imperiale in prima persona. Per valutare appieno la positività dell’operato di Wu Zetian, occorre ricordare che la sua vicenda si colloca nel periodo iniziale della dinastia Tang (Tang chao 唐朝, 618-907), quando l’impero è da poco tempo consolidato e reso prospero dall’energica azione politica dall’imperatore Taizong, figlio e successore del fondatore della dinastia, Li Yuan 李淵 (Imperatore Gao Zu 高祖 – regno 618-626). Tuttavia, quando nel 652 Wu Hou è chiamata ad affiancare il giovane imperatore Gaozong da poco salito al trono, la situazione dell’impero presenta ancora molte criticità, soprattutto in politica estera. L’impero, infatti, è sotto pressione da parte di popolazioni confinanti da ovest e nord-ovest (a suo tempo respinte dall’imperatore Taizong) che pensano di poter approfittare della debolezza dell’impero cinese nel delicato momento di passaggio dinastico, per recuperare il terreno perduto [9]. Wu Hou, mantenendo la politica estera nel solco delineato da Taizong, riesce con abilità e determinazione a risolvere la maggior parte dei problemi di confine con interventi militari mirati e con un’accorta azione diplomatica e perviene anche alla chiusura dell’ancora irrisolta questione coreana [10].
Per iniziativa di Wu Zetian vengono attuate radicali misure per lo sviluppo dell’agricoltura e si procede ad una significativa riduzione delle tasse. Questi provvedimenti imprimono nuovo slancio all’economia dell’impero, apportando benessere alla popolazione e creando le migliori condizioni per una fioritura artistico-culturale senza precedenti, che riceve nuovi influssi vivificatori dal prosperare dei commerci e degli scambi anche con paesi lontani e sconosciuti [11]. Nel clima di vivace cosmopolitismo si affermano anche un’inedita apertura verso le altre culture e una robusta tolleranza religiosa.
Wu Zetian per prima (in questo discostandosi dalla linea tenuta dagli imperatori suoi predecessori) sostiene ed incoraggia soprattutto l’affermarsi del buddhismo, tentando di farne una sorta di “religione di stato” in funzione velatamente anti-confuciana. Infatti, come osserva il Sabattini «ella non avrebbe potuto rifarsi alla tradizione confuciana, la quale non ammetteva che una donna salisse al vertice dello Stato» [12].

La diffusione del buddhismo porta con sé un incomparabile patrimonio artistico, di pensiero e letterario destinato a imprimere un’impronta indelebile e a dare un nuovo corso alla maggior parte delle manifestazioni della cultura cinese.
Solo per citare qualche esempio tra quelli che ancora oggi abbiamo la fortuna di poter ammirare, ricordiamo che Wu Zetian dà uno straordinario impulso allo sviluppo delle Grotte buddhiste di Longmen 龙门石窟 (Longmen shiku) [13], vicino alla nuova capitale, Luoyang 洛阳. Si tratta di una colossale serie di grotte scavate nella roccia la cui realizzazione, iniziata nel V secolo, si è protratta per molte generazioni e dinastie successive e che costituisce un nuovo modello di scultura monumentale e devozionale in pietra e gesso, un tempo arricchita di decorazioni policrome.
Anche le tombe imperiali che Wu Hou fa predisporre per l’imperatore Gaozong, per se stessa e per i principi imperiali sono un’altra testimonianza eloquente dello straordinario impulso che imprime a tutte le espressioni artistiche. Si presentano come colline artificiali, collocate in un ampio comprensorio “sacro”, precedute da monumentali “Vie dello Spirito” e custodite da innumerevoli sculture di alto contenuto simbolico, raffiguranti coppie di animali e di personaggi. All’interno, ampie camere, sale e corridoi sono sontuosamente decorati con pitture murali che costituiscono un documento importantissimo sulla vita di corte dell’epoca; inoltre rappresentano uno fra i più antichi esempi di pittura cinese non religiosa o devozionale, pervenuti fino ai nostri giorni.

image14
Dame di corte Tang. Pittura murale delle tombe Qianling.

Ma Wu Zetian dà un forte impulso a ogni forma artistica e culturale: pittura, musica e poesia in particolare, ma anche letteratura, filosofia, arti applicate.
Suo grande merito è l’aver perfezionato il sistema degli esami confuciani per la selezione di «un corpo di funzionari con una coscienza comune fondata sul medesimo tipo di educazione e sulla consapevolezza del valore superiore della cultura come strumento di elevazione sociale» [14]. Un’istituzione, quella degli esami di stato, che fino all’inizio del XX secolo, cioè alla caduta dell’impero, resterà la spina dorsale dell’amministrazione imperiale [15].
Wu Zetian favorisce anche l’affermazione delle tecniche della stampa, per mezzo della quale intende rendere sempre più agevole la diffusione della cultura attraverso la facile disponibilità di testi scritti [16]. E poi, come si è detto, incrementa la produzione agricola, riduce le tasse, sviluppa la diplomazia. Così garantisce benessere all’impero, tanto che si può dire che lo splendore artistico-culturale che caratterizzerà il regno di suo nipote Xuanzong 宣宗 (regno 712-756), uno dei periodi artisticamente più splendidi dell’intera storia cinese, nasce proprio dalle basi che lei ha creato. Ma la storiografia ufficiale, dando credito alle calunnie più infamanti, di lei tramanda un’immagine negativa di arrampicatrice sociale senza scrupoli, corrotta e depravata che ha «regnato dietro le spalle del sovrano» e che «ha assassinato la sorella, ha massacrato i fratelli, ha ucciso il sovrano, ha avvelenato la madre». [17]

L’Imperatrice Vedova Cixi

Se Wu Zetian è stata la sola donna della storia cinese a essersi proclamata “imperatore” (Huangdi), non è stata, invece, l’unica che ha gestito il potere “dietro le spalle” come dice di lei la storia ufficiale cinese, cioè in nome di imperatori maschi, spesso minorenni o inabili. Troviamo un esempio eloquente nella seconda metà del XIX secolo, nella persona dell’Imperatrice vedova Cixi (Cixi Taihou 慈禧太后).

C’è discordanza tra le diverse fonti in merito alle sue origini, tanto che molti autorevoli testi non affrontano neppure il tema [18] e solo in anni relativamente recenti si è iniziato a condurre e divulgare ricerche più approfondite su questa figura storica [19] che superassero la vulgata, spesso fortemente romanzesca o propagandistica, ampiamente diffusa sul suo conto.
Anche la carriera di Cixi, come quella di Wu Zetian, al cui modello si è sempre dichiaratamente ispirata, inizia dal grado di concubina imperiale. Infatti, è la favorita dell’imperatore Xianfeng 咸丰 (regno 1851-1861) ed ha la fortuna inestimabile di essere l’unica a dargli l’erede maschio, assumendo così una posizione di primo piano tra tutte le consorti imperiali. Alla morte dell’imperatore assume la reggenza per il figlio minorenne Tongzhi 同志 (regno 1862-1874). Dal 1872 Tongzhi regna due anni e alla sua morte prematura e da alcuni ritenuta sospetta, Cixi riprende la reggenza, questa volta per il pronipote Guangxu 光緒 (regno 1875-1908) minorenne. E’ reggente fino al 1889, anno della maggiore età dell’imperatore.
Assume ancora una volta la reggenza dopo il colpo di stato del 1898 che esautora Guangxu [20] e la mantiene fino alla morte, avvenuta nel 1908, quasi contemporaneamente all’imperatore deposto e dopo aver proclamato imperatore il piccolo Puyi 溥仪 (1906-1967) di soli tre anni, che regna con il titolo imperiale di Xuantong 宣统 dal 1908 al 1911, anno della caduta dell’impero.

image16
Cixi (1835-1908)

Cixi è una figura ben nota, poiché è entrata a far parte anche della storia dei Paesi occidentali. Infatti la sua vicenda si snoda nella seconda metà dell’Ottocento, quando le potenze occidentali – dopo le guerre dell’Oppio [21] – spadroneggiano nell’Impero cinese. Cixi, riferimento e paladina delle componenti più conservatrici e tradizionaliste del governo e della società cinesi, oppone una reazione molto forte all’intrusione dei Paesi europei e alla forzata modernizzazione dell’impero che questi vorrebbero imporre, fino a sostenere la violenta rivolta xenofoba dei Boxer del 1900 [22]. Di conseguenza anche le fonti occidentali, a cominciare dalla stampa dell’epoca, ne tramandano un’immagine fortemente negativa, talvolta anche ferocemente satirica. Solo dopo la sua morte sulla stampa occidentale e nell’ambito della narrativa americana ed europea si leva qualche voce meno sfavorevole. [23]
La storiografia ufficiale cinese tramanda su di lei un giudizio analogo a quello che ha circondato la sua antenata Wu Zetian: spietata, arrivista, intrigante, capricciosa, sessualmente insaziabile e depravata, autrice o istigatrice di crimini orrendi.
Di lei è stato scritto che amava smodatamente il lusso, gli abiti sontuosi, le residenze sfarzose e che avrebbe sperperato somme ingenti nell’ampliamento e abbellimento dei palazzi in cui amava alloggiare, arricchendoli di padiglioni lussuosi e “giardini di delizie”. Inoltre, effettivamente curava molto la propria immagine, vestiva in modo molto raffinato, amava apparire e fare colpo sugli interlocutori.

La storiografia l’accusa di aver dilapidato fortune per la sua irrefrenabile passione per il teatro. In realtà amava molto questa forma di espressione artistica, al punto da voler dotare le sue residenze di edifici dedicati alle rappresentazioni teatrali ed era solita allestire a corte quadri scenici molto accurati, coinvolgendo dame di corte, eunuchi e altri del suo entourage. In queste messe in scena, lei stessa soleva impersonare Guanyin 观音 , divinità buddhista della benevolenza. Tuttavia si deve a lei se il teatro classico in lingua volgare, e in particolare l’Opera di Pechino (Jīngjù 京劇), si è definitivamente affermato come spettacolo colto, degno di essere parte del patrimonio culturale cinese [24].

Cixi interpreta Guanyin (1903-1905) Freer Gallery of Art and Arthur M. Sackler Gallery Archives. Smithsonian Institution, Washington, D.C., Purchase. http://collections.si.edu/search/tag/tagDoc.htm?recordID=siris_arc_274009&hlterm=cixi
Cixi interpreta Guanyin (1903-1905). Freer Gallery of Art and Arthur M. Sackler Gallery Archives. Smithsonian Institution, Washington, D.C.
http://collections.si.edu

Nonostante secondo alcuni biografi non abbia ricevuto un’istruzione ben strutturata (come era uso ai suoi tempi per le figlie femmine anche nelle famiglie più altolocate), ma sia stata tendenzialmente autodidatta, è molto colta ed è preparata nelle arti dei letterati confuciani, le arti più raffinate ed esclusive nella Cina tradizionale [25]. In particolare è molto dotata in pittura e in calligrafia, nelle quali raggiunge risultati ottimi e molto apprezzati dai cultori e dagli intenditori [26].
Cura molto da vicino la produzione delle porcellane, dando nuovo impulso, nuovi stili e motivi decorativi cui ispirarsi. Si deve al suo gusto e ai suoi suggerimenti la produzione di tutta una serie di porcellane (coppe, ciotole, vasi per fiori, cassette per bulbi, vasi per pesci rossi) decorate nel tradizionale stile falangcai [27] con motivi simbolici, fiori e farfalle resi con smalti brillanti su sfondo di colore intenso nelle tonalità pastello o giallo imperiale. Ricorrente è la presenza di fiori di glicine, tra i preferiti di Cixi. Tuttavia, questa tipologia di porcellana, da lei voluta e sviluppata, è conosciuta da studiosi e collezionisti come “Porcellana falangcai Guangxu”, dal nome dell’imperatore per cui Cixi era reggente. Un’ulteriore testimonianza del fatto che, nonostante il suo straordinario impegno per lo sviluppo della cultura e delle arti, l’Imperatrice Vedova è ricordata più che altro per i metodi decisi e sbrigativi, per la rivolta dei Boxer, per gli intrighi, per i vizi, per essere stata il riferimento della fazione conservatrice del governo cinese, ostile all’occidentalizzazione e alla modernizzazione dell’impero.

Conclusioni

Volendo trovare un riscontro anche nella storia più recente della Cina, si potrebbe ricordare la figura di Jiang Qing 江青 (1914-1991), l’ultima moglie del Presidente Mao: gli è stata al fianco, seguendolo e sostenendolo per tutto il corso della rivoluzione e dei primi decenni della RPC. Si è dedicata in particolare all’implementazione della cultura rivoluzionaria, sostenendo soprattutto la riforma del teatro con la creazione di nuove commedie d’ispirazione rivoluzionaria, che hanno costituito il cardine della Rivoluzione Culturale (1966-1976). Tuttavia è ricordata come “Lady Mao la sanguinaria” e alla morte di Mao è lei che – accusata di essere la guida della Banda dei Quattro [28] – diventa il capro espiatorio delle efferatezze della Rivoluzione Culturale e finisce condannata all’ergastolo.
Un altro esempio di come anche in tempi recentissimi, in tempi di retorica dell’ “Altra metà del Cielo”, alle donne è di fatto negata la legittimazione ad occupare positivamente posizioni di rilievo nella società e nella storia.


NOTE

[1] C’è incertezza tra le diverse fonti storiche in merito al vero nome di nascita dell’imperatrice Wu. In realtà pare che lei stessa abbia fatto creare il carattere Zhao 曌 fino ad allora inesistente, mentre il suo nome d’origine sarebbe stato Zhao 照 (illuminare).
[2] Si tratta del monastero Ganye 感业 nei sobborghi dell’antica capitale Chang’an 长安- oggi Xi’an 西安.
[3] Per approfondimenti, si veda: Fitzgerald Charles Patrick, La Civiltà Cinese, Torino, Einaudi Editore, seconda edizione, 1974, parte IV. – Sabattini Mario, Santangelo Paolo, Storia della Cina, Roma-Bari, Laterza, quarta edizione, 2000, cap. IV.
[4] Il riferimento è a due opere in particolare: Tangshu 唐书, generalmente tradotto come Il Libro dei Tang o la Storia dei Tang, e il successivo Xin Tangshu, tradotto come Nuova storia dei Tang. Tangshu è in assoluto il primo testo riguardante la storia della dinastia Tang, è costituito di 200 capitoli ed è una delle Ventiquattro storie, compilate durante il periodo delle Cinque Dinastie (907-960); fu sostituito dal Xin Tangshu, in dieci volumi e 255 capitoli, compilato durante la dinastia Song (970-1279) ad opera di una equipe di letterati guidati da Ouyang Xiu 欧阳修 (1007-1072) e da Song Qi 宋祁 (998-1061).
[5] Fitzgerald Charles Patrick, op.cit., 1974,pag. 264.
[6] Cfr.:Tangshu e Xin Tangshu, cit.
[7] Il riferimento è all’antica dinastia Zhou 周 (presumibilmente 1122 a.C.- 221 a.C.), che vede il costituirsi della cultura cinese con la nascita delle principali forme di espressione artistica e letteraria, con lo strutturarsi di un pensiero filosofico e politico organizzato (grazie anche all’opera di Confucio, 551-479 a.C.), con l’evolversi della struttura dello Stato verso l’impero unificato e centralizzato. Cfr. Sabattini Mario, Santangelo Paolo, op. cit., 2000, pagg. 58-134.
[8] Cfr. Corradini Piero, Cina, Popoli e Società in cinque millenni di storia, Firenze, ed. Giunti, 1996, pagg. 168-174; Franke Herbert, Trauzettel Rolf, L’impero cinese, in “Storia Universale Feltrinelli”, Milano, 1969, vol. 19, pagg. 169-173. Una valutazione nettamente negativa della figura di Wu Hou è anche in Petech Luciano, Profilo storico della civiltà cinese, Torino, ERI, 1957, pagg. 121-122.
[9] Cfr. Sabattini Mario, Santangelo Paolo, op. cit., 2000, pagg.288-292 e 297-299.
[10] Ibidem.
[11] Cfr. Fitzgerald Charles Patrick, op.cit., 1974,pag. 289-301; Surdich Francesco, La via della Seta, Trento, Centro Studi Martino Martini, 2007, cap. 1 e 2.
[12] Sabattini Mario, Santangelo Paolo, op. cit., 2000, pagg. 335-336.
[13] Le Grotte di Longmen sono uno dei più notevoli complessi di arte buddhista in grotta della Cina. La realizzazione è stata avviata nel 493 d.C. con la dinastia Wei del Nord (北魏 Bei Wei – 386-534), ma è sotto il regno di Gaozong e di Wu Zetian che ha ricevuto il maggiore impulso; ha sempre goduto del sostegno di imperatori, donatori e mecenati di famiglie altolocate, funzionari di alto livello, gruppi religiosi. Per oltre il 60% le grotte sono state scavate e scolpite durante la dinastia Tang. Una seconda fase di grande sviluppo si colloca durante la dinastia Ming (1368-1644) e nella prima parte della dinastia Qing (1644-1911). In abbandono durante il XIX e inizio XX secolo, le Grotte subiscono devastazioni e saccheggi con l’invasione giapponese e con la seconda guerra mondiale, quando innumerevoli sculture vengono asportate e avviate verso musei occidentali e, soprattutto, giapponesi. Solo con l’entrata in vigore della prima Costituzione della RPC nel 1954 le grotte vengono poste sotto la tutela del governo. Il complesso conta oggi circa 1400 grotte, contenenti oltre 100.000 statue di dimensioni variabili tra i 2,5 cm e i 17 metri di altezza; contiene anche 2500 stele e lapidi scolpite e oltre 60 pagode.
[14] Sabattini Mario, Santangelo Paolo, op. cit., 2000, pag 324.
[15] Gli esami confuciani si sono svolti per l’ultima volta nel 1904.>Per approfondimenti: De Rotours Robert,>Traité des Examens, tradotto da>Nouvelle Historie des Tang, Paris, E. Leroux, 1932,>cap. XLIV, XLV; Ichisada Miyazaki, L’inferno degli esami – Studenti, mandarini e fantasmi nella Cina imperiale, Torino, Bollati Boringhieri editore, 1988.
[16] Barrett Timothy Hugh (Tim), The Woman Who Discovered Printing, Yale University Press, 2008.
[17] Cfr. Dash Mike, The Demonization of Empress Wu, Smithsonian.com, August 12, 2012, http://www.smithsonianmag.com/history/the-demonization-of-empress-wu-20743091/?no-ist .
[18] Cfr. Fitzgerald Charles Patrick, op.cit.,1974; Sabattini Mario, Santangelo Paolo, op. cit., 2000; Franke Herbert, Trauzettel Rolf, op.cit,1969; Corradini Piero, op.cit.,1996.
[19] L’imperatrice vedova Cixi, in “Manciù, l’Ultimo Imperatore”, a cura di Madaro Adriano, Treviso, Edizioni Sigillum, 2011 (Catalogo mostra, Treviso 2011-2012), pagg.478-482.
[20] Cfr.: Schmidt-Glintzer Helwig, La Cina Contemporanea, Roma, Carocci, 2002, pag. 39; Corradini Piero,op.cit.,1996, pagg. 327-329.
[21] Guerre dell’Oppio: è il nome attribuito ai due conflitti in cui l’impero cinese si scontrò con il Regno Unito (I Guerra dell’Oppio, 1839-1842) e con la coalizione anglo-francese (II Guerra dell’Oppio, 1856-1860) e che si conclusero con i cosiddetti “trattati ineguali” che aprirono la strada alla semicolonizzazione della Cina. Per approfondimenti: http://www.treccani.it/enciclopedia/guerre-dell-oppio_%28Dizionario-di-Storia%29/
[22] La bibliografia relativa alla Rivolta dei Boxer è molto vasta. Alcuni esempi: Sabattini Mario e Santangelo Paolo, op. cit, pag. 611-615; Schmidt-Glintzer Helwig, op. cit., 2002, pagg. 42-43; Doniselli Eramo Isabella, La Rivolta dei Boxer … in Biblioteca – Testimonianze e Documenti della Rivolta dei Boxer nel Patrimonio della Biblioteca del Pime di Milano, in “Quaderni Asiatici” n. 95, settembre 2011, pagg. 33-54; Merchionne Giuseppina, Pierre Loti e gli ultimi giorni di Pechino, ibidem pagg. 17-32; Barzini Luigi, Nell’Estremo Oriente,<Piacenza, Casa Editrice Apuana, 1935; Bodin Lynn, The Boxers rebellion, Londra, Osprey, 1979; Fleming Peter, La rivolta dei Boxers, Milano, Dall’Oglio, 1965.
[23] Interessante la testimonianza di Katherine Carl (1865-1938), pittrice americana, autrice di un celebre ritratto ad olio di Cixi. Avendo frequentato l’imperatrice per oltre 10 mesi per eseguirne il ritratto, la Carl è in grado di offrire una testimonianza di prima mano sulla personalità di Cixi, sul suo carattere, le sue abitudini e il suo modo di rapportarsi con chi la circonda. Carl K. With the Empress Dowager of China, New York, The Century Co., 1905. https://openlibrary.org/books/OL7053062M/With_the_Empress_dowager). Più recente è il volume di Warner Marina, The Dragon Empress: Life and Times of Tz’u-hsi 1835-1908, London, Weidenfeld & Nicolson, 1972 (edizione italiana:Tz’u-hsi, Imperatrice del Drago, Milano, Librex, 1975).
[24] Cfr.: Warner Marina, op. cit. Milano, 1975, cap. 9. Per un approfondimento sul teatro Jingjiu: Gagliardi Mangilli Elisa e Gianinazzi Barbara (a cura di), Jingjiu. Il teatro Cinese nella Collezione Pilone, catalogo dell’omonima esposizione, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2014.
[25] <Poesia, calligrafia, pittura e musica erano le arti coltivate dai letterati cinesi, vera e propria élite di uomini raffinati e colti, preparatissimi sui testi classici confuciani, che esprimeva, tramite il sistema degli esami di stato (vedi supra), la classe dirigente dell’impero cinese, i funzionari della burocrazia imperiale e provinciale, noti in occidente con il nome di “mandarini” (dal portoghese mandar, cioè comandare e con riferimento al sanscrito mantrin, usato anche in Malesia e in Indonesia, nel suo significato di “consigliere del re, ministro, saggio”). La lingua cinese usa il termine guan 官, che significa “ufficiale, funzionario”;.
[26] Molte sue opere di calligrafia e di pittura sono conservate nei musei e in particolare nel Palazzo d’Estate di Pechino. Cfr.: Manciù, l’Ultimo Imperatore, a cura di Madaro Adriano, Treviso, Edizioni Sigillum, 2011 (Catalogo mostra, Treviso 2011-2012), pagg. 313-317.
[27] Falangcai (colori a smalto) è una tipologia di tecnica decorativa della porcellana messa a punto nel 1728 nella fornace “Nian” di Jingdezhen, importante centro di produzione della porcellana nell’odierna Provincia di Jiangxi. Il nome della fornace deriva da Nian Xiyao, supervisore dal 1726 al 1735 della produzione ceramica dell’Imperatore Yongzheng (1723-1735) e ideatore, appunto, della nuova tecnica il cui scopo era imitare l’effetto cromatico delle decorazioni a smalto dei metalli importati dall’Europa. La caratteristica identificativa delle porcellane falangcai è l’avere i motivi decorativi dipinti su un fondo in tinta unita di colore intenso e, in origine, di tonalità scura (blu, rosso sangue di bue, verde) o giallo imperiale. Sarà proprio l’imperatrice Cixi a far introdurre, per il fondo, le tinte pastello. Il fondo in tinta unita intensa è ciò che distingue le porcellane falangcai dall’altra classe coeva di porcellane imperiali, la cosiddette fengcai (colori a polvere), caratterizzate da motivi decorativi in colori brillanti dipinti sullo sfondo bianco della porcellana. Entrambe le classi appartengono al gruppo detto, secondo la classificazione europea delle porcellane cinesi, “famiglia rosa”. Cfr.: He Li, Chinese Ceramics, London, Thames & Hudson Ltd., 1996.
[28] Banda dei Quattro 四人帮si ren bang, gruppo di quattro politici della RPC: Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen, arrestati nel 1976 dopo la morte di Mao Zedong ed in seguito processati e condannati. L’arresto segnò la fine della Rivoluzione culturale avviata nel 1966 da Mao contro le strutture del partito comunista cinese e in particolare contro alcuni dirigenti nazionali come Liu Shaoqi e Deng Xiaoping e dirigenti locali come il sindaco di Pechino Peng Zhen. I quattro avevano raggiunto un enorme potere pur senza avere cariche di primissimo piano. La Banda dei Quattro fu accusata di preparare un colpo di Stato. Prima dell’arresto non esisteva il termine Banda dei Quattro che fu coniato per l’occasione.


BIBLIOGRAFIA

BARRETT, Timothy Hugh (Tim), The Woman Who Discovered Printing, Yale University Press, 2008.
BARZINI, Luigi, Nell’Estremo Oriente, Piacenza, Casa Editrice Apuana, 1935.
BODIN, Lynn, The Boxers rebellion, Londra, Osprey, 1979.
CARL, Katherine, With the Empress Dowager of China, New York, The Century Co., 1905.
CORRADINI, Piero, Cina, Popoli e Società in cinque millenni di storia, Firenze, Ed. Giunti, 1996.
CORSO, Claudia, “L’imperatrice vedova Cixi”, in Manciù, l’Ultimo Imperatore, a cura di Madaro Adriano, Treviso, Edizioni Sigillum, 2011 (Catalogo mostra).
DASH, Mike, The Demonization of Empress Wu, Smithsonian.com, August 12, 2012.
DE ROTOURS, Robert, Traité des Examens, tradotto da Nouvelle Historie des Tang, E. Leroux, Paris, 1932.
DONISELLI ERAMO, Isabella, “La Rivolta dei Boxer…” in Biblioteca – Testimonianze e Documenti della Rivolta dei Boxer nel Patrimonio della Biblioteca del PIME di Milano, in Quaderni Asiatici n. 95, settembre 2011.
FITZGERALD, Charles Patrick, La Civiltà Cinese, Torino, Einaudi Editore, seconda edizione, 1974.
FLEMING Peter, La rivolta dei Boxers , Milano, Dall’Oglio, 1965.
FRANKE, Herbert, TRAUZETTEL, Rolf, “L’impero cinese”, in Storia Universale Feltrinelli, Milano, 1969.
GAGLIARDI MANGILLI, Elisa e GIANINAZZI, Barbara (a cura di), Jingjiu. Il teatro Cinese nella Collezione Pilone, catalogo dell’omonima esposizione, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2014.
HE, Li, Chinese Ceramics, London, Thames & Hudson Ltd., 1996.
LOTI, Pierre, Les derniers jours de Pékin, Calmann-Lévy Paris, 1902.
MERCHIONNE, Giuseppina, “Pierre Loti e gli ultimi giorni di Pechino”, in Quaderni Asiatici n. 95, settembre 2011.
MIYAZAKI, Ichisada, L’inferno degli esami – Studenti, mandarini e fantasmi nella Cina imperiale, Torino, Bollati Boringhieri editore, 1988.
PETECH, Luciano, Profilo storico della civiltà cinese, Torino, ERI, 1957.
SABATTINI, Mario, SANTANGELO, Paolo, Storia della Cina, Roma-Bari, Laterza, quarta edizione, 2000.
SCHMIDT-GLINTZER, Helwig, La Cina Contemporanea, Roma, Carocci, 2002.
WARNER, Marina, The Dragon Empress: Life and Times of Tz’u-hsi 1835-1908, London, Weidenfeld & Nicolson, 1972 (edizione italiana: Tz’u-hsi, Imperatrice del Drago, Milano, Librex, 1975).