Birmania: Yokthe-pwe, teatro delle marionette

di Rossella Marangoni

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Fra le arti drammatiche della Birmania, il teatro delle marionette è di gran lunga il genere più popolare.

Nato attorno alla seconda metà del XV secolo, lo yokthe-pwe non sembra essere stato particolarmente influenzato dai teatri delle marionette sviluppatisi nell’area indocinese o in quella del Sud-est asiatico. Sembra piuttosto aver sviluppato una sua propria via, del tutto autonoma, anche se le lontane origini sono da rintracciare nelle tradizioni marionettistiche giunte da India e Cina.

Lo yokthe-pwe raggiunse l’apogeo della popolarità e dell’importanza nel XVIII secolo quando rivestiva, nella società birmana, un ruolo di ben altro rilievo rispetto a quello di puro intrattenimento che avrebbe avuto nelle epoche successive. Alle marionette, infatti, era demandato dalla corte il ruolo di diffusione delle notizie dalla capitale alle campagne, mentre gli abitanti dei villaggi, a loro volta, incaricavano i manipolatori di sottoporre le loro richieste alla famiglia reale, attraverso i buoni uffici delle marionette. L’importanza di questo scambio, che vedeva al centro i pupazzi, era tale che il re aveva una propria troupe che inviava in tournée nei villaggi e nelle fiere che si tenevano periodicamente presso i templi buddhisti. Inoltre, alle marionette era concesso ciò che non lo era agli esseri umani: ad esempio dare al re cattive notizie (nessuno dei sudditi avrebbe osato, pena la vita). A sua volta il re poteva utilizzarle per rimproverare, in modo indiretto, i membri della sua stessa famiglia. 

Del resto le marionette godevano di uno status elevato: a loro, e solo a loro, era permesso di agire su un palcoscenico, quindi su una piattaforma che si trovava più in alto dello stesso re. Ai danzatori, al contrario, ciò non era concesso: erano quindi costretti a esibirsi sul terreno.

I pupazzi sono grandi, superano spesso il metro di altezza e, a volte, sono alti quanto un uomo. Indossano ricche vesti tradizionali su cui  spiccano ricami preziosi e decorazioni dorate. Sono costruiti in legno e metallo, realizzati con grande precisione, maestria e cura dei dettagli tale da costituire, il più delle volte quando si tratta di esemplari antichi, autentici capolavori. Il volto è normalmente bianco con lineamenti delicatamente tracciati. Il rosso è invece destinato a caratterizzare il personaggio del buffone.

Nel teatro delle marionette tradizionale i personaggi sono ventisette, suddivisi fra figure che entrano sul palcoscenico da destra, i buoni, e figure che entrano da sinistra, i cattivi. Un’apertura centrale, invece, permette l’ingresso di creature celesti. Fra i personaggi buoni si annoverano il re, il principe, la principessa, i ministri, i nat (spiriti)[1] e gli elefanti. Fra i personaggi cattivi si contano il mago, gli esseri magici, le scimmie, le tigri.

A questi, in epoca recente sono stati aggiunti altri personaggi. E si è andato modificando anche lo stile della rappresentazione. Protagonisti indiscussi di ogni rappresentazione restano comunque il personaggio del principe (Mintha) e quello della principessa (Minthamee). A volte la coppia di marionette assume le sembianze della coppia di principi reggenti (Minthagyi e Minthalatt), a seconda del dramma rappresentato e, in questo caso, alle medesime marionette vengono fatti indossare costumi differenti.

Il palcoscenico è costituito da una struttura in bambù leggermente rialzata e protetta da un tetto. Una tenda fa da fondale e, sopra questa, sulle travi, siedono i burattinai che manovrano i pupazzi attraverso un complesso gioco di fili, più numerosi nel caso di marionette danzanti.

I contenuti drammaturgici fanno sempre riferimento alla tradizione buddhista, e segnatamente ai Jataka (Le vite anteriori del Buddha il cui corpus, in Birmania, è stato accresciuto e ha un rilievo particolare) e al poema epico indiano Ramayana (Ramakien, nella versione locale).


NOTA

[1]  I nat sono spiriti molto importanti per la mitologia birmana. Ne esistono trentasette e rappresentano spiriti di uomini illustri, personaggi dell’epica birmana o divinità della mitologia induista.