Stereotipi e identità culturali nella stand-up comedy dell’India

https://doi.org/10.55154/CWSC5148

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Come citare

ACQUARONE Lorenza, “Stereotipi e identità culturali nella stand-up comedy dell’India”, AsiaTeatro – rivista di studi online, anno 2023, n.1, pp. 36-42.
https://doi.org/10.55154/CWSC5148

Abstract. In India l’umorismo ha una tradizione letteraria antichissima e la satira ha svolto un ruolo importante nel risveglio dell’orgoglio nazionale durante il colonialismo. Ma se vogliamo conoscere il volto autentico dell’India di oggi, le sue tensioni e contraddizioni, è alla stand-up comedy che dobbiamo guardare. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo il primo capitolo del libro di Lorenza Acquarone Voci audaci. La stand-up comedy in India sfida tabù e censura (Edizioni Le Lucerne, Milano, 2023).

Stereotipi e identità culturali nella stand-up comedy dell’India

di Lorenza Acquarone

La stand-up comedy è una manifestazione artistica della libertà di espressione; i temi che tratta in India sono in parte quelli universali della comicità di un certo tipo: patriarcato (declinato anche come mansplaining), rapporti tra i sessi, cancel culture, inquinamento, politica, religione, ma alcuni tra essi assumono in India una valenza particolare; affronta poi temi più radicati e circoscritti al Subcontinente come i risarcimenti postcoloniali, i matrimoni combinati e la convivenza tra comunità appartenenti a diverse religioni. Battute e sarcasmo non sempre sono stati accolti bene e contro alcuni stand-up comedian sono stati presentati esposti e denunce: diffamazione, offesa al sentimento religioso, vilipendio alla nazione sono alcuni dei reati che sono stati loro contestati.

Per gentile concessione dell’editore, propongo qui un estratto dal libro in cui ho esposto in sintesi tali vicende: Voci audaci. La stand-up comedy in India sfida tabù e censura, Edizioni Le Lucerne, Milano, 2023.

Il volume non si limita a considerare gli artisti nati e attivi in India, ma, seguendo una concezione flessibile di cultura e inserendola in un processo di continua osmosi, influenze e percezioni, include anche osservazioni di stand-up comedian di origine indiana radicati all’estero. Gli artisti cui si si fa riferimento sono visibili sulle piattaforme e facilmente accessibili al pubblico italiano.

Il tentativo è quello di ripercorrere attraverso la voce e gli spunti offerti dai comici gli ultimi eclatanti cambiamenti avvenuti nell’ambito del sistema legale indiano in forza di sentenze dalla portata innovativa o di provvedimenti legislativi rilevanti sotto il profilo dei diritti umani e della dignità delle persone, per offrire un ritratto della realtà indiana contemporanea.

Stereotipi e identità culturali

Un tema ricorrente negli spettacoli dei comici indiani all’estero è l’autoironia nei confronti della propria cultura di origine: un modo per canzonarne le stranezze o riflettere sulle sue criticità? L’obiettivo può essere duplice, ma le riflessioni che ne scaturiscono non sono mai banali.

Alcuni stand-up comedian propongono al pubblico internazionale battute legate a stereotipi, per esempio imitando l’accento indiano o parlando di matrimoni combinati, con modalità che possono apparire discutibili. Altri, invece, descrivono luoghi comuni caratteristici delle varie identità culturali presenti in India, rappresentando il mosaico di cui è composta la cultura e la popolazione indiana. Come per ogni grande nazione, pretendere di assimilare tutti gli abitanti in un unico stereotipo è un’operazione un po’ grezza dal punto di vista culturale, mentre è più corretto rispettare le identità regionali e le mille sfaccettature di un Paese così vasto.

I primi comici che mi è capitato di guardare in rete un po’ di anni fa sono Vidur Kapur e Russell Peters. Vidur Kapur è di origine panjabi ed è considerato un guru della stand-up. Si è esibito praticamente in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna, dal Sud Africa all’India, naturalmente. Nei suoi spettacoli al Gotham Comedy Club di New York parla spesso del boom dell’economia indiana avvenuto negli anni 2000, delle discriminazioni, di certi atteggiamenti tipici degli indiani, meno aggressivi e diretti degli americani, ma talvolta un po’ macchinosi: «A New York, se ritengono che qualcosa non vada nel tuo atteggiamento, ti chiedono con tono aggressivo “hai qualche problema con me?”. Mentre in India ti direbbero: “Sanghita ha sentito che Kavyta ha saputo che forse sei scocciato con me, allora ho chiesto a Karmila che ha detto che Usha le ha riferito che è vero”».[1] Di situazioni altrettanto intricate parla anche Sidhu Vee, affermata artista di origine indiana, che nello spettacolo Alphabet proposto al Fringe a Edimburgo nel 2022 descrive le dinamiche familiari tipiche del suo Paese come un vero rompicapo: dichiara che per qualche tacita regola lei (ma fanno lo stesso anche molti altri) finge sempre con i propri famigliari di non essere al corrente di questioni che gli stessi famigliari sanno benissimo che lei conosce.

Come Vidur Kapoor, anche Russell Peters ha collezionato premi e riconoscimenti e anche lui spesso gioca con gli stereotipi culturali: parla delle pressioni della madre per indurlo al matrimonio e intrattiene il suo pubblico imitando diversi accenti, compreso quello indiano. [2]  Non è l’unico a calcare l’accento indiano davanti al pubblico occidentale: Nik Dodani, comico e attore che – tra l’altro – ha recitato nella serie Netflix Atypical, nel suo intervento al Late Show di Stephen Colbert ha imitato l’accento indiano dei suoi genitori, scusandosi in anticipo in caso qualcuno ne potesse rimanere offeso.[3] E lo stesso fa Kabir Singh in You Sleigh me, che ho guardato nel dicembre 2021 sulla piattaforma RushTix. Kabir ha una biografia interessante: ha passato parte dell’infanzia negli Stati Uniti e parte in India. Nel suo show accenna ai matrimoni combinati, una pratica ancora diffusa in India e tra le comunità indiane nel mondo, e commenta che trovava assolutamente raccapricciante l’idea fino a quando non ha visto la moglie del cugino, a quanto pare bellissima. Kabir riporta i dialoghi o gli sms dei suoi genitori su vicende quotidiane, e lo fa con uno spiccato accento indiano. Stessa modalità utilizza Usama Sidiquee – comico di New York di origine indiana, che ha partecipato a Just For Laugh 2018 e ad America’s Got Talent nel 2020 – quando riferisce i rimproveri della madre: «Hai lasciato di nuovo tue calze per terra? Avrei dovuto abortire quando ti aspettavo».[4] Si tratta della cosiddetta “brown voice”, espressione che indica una tipica presa in giro degli indiani per il loro modo di parlare, e anima il dibattito sulle discriminazioni razziali. In proposito, i comici indiani hanno fatto un grosso lavoro: liberare la brown voice della sua componente discriminatoria e renderla parte di uno spettacolo teso a riflettere su temi più o meno impegnati.

Non tutti i comici con genitori indiani, però, si esprimono scimmiottando la cadenza indiana: Hari Kondabolu, stand-up comedian, attore e scrittore di New York, figlio di genitori immigrati negli Stati Uniti dallo Stato indiano dell’Andhra Pradesh, ha criticato questo tipo di rappresentazione nel suo documentario del 2017, The Problem with Apu. Apu è il famoso personaggio dei Simpson, un piccolo commerciante bonariamente truffaldino di origini indiane presente nella serie fin dalla prima stagione e caratterizzato da un accento indiano molto marcato, persino nel doppiaggio italiano. Molti appartenenti alla comunità indiana – tra cui l’attrice Pryanka Chopra[5] – hanno avvertito come offensiva quella rappresentazione delle persone con radici indiane, tanto che la produzione dei Simpson ha deciso di rimuovere il personaggio. Di recente Akaash Singh, comico di origini indiane nato a Dallas, ha pubblicato su YouTube uno special dal titolo Bring Back Apu in cui sovverte gli aspetti razzisti dei Simpson e rivela in maniera dissacrante: «Apu impersonava la realizzazione del sogno americano: nel suo mini market vendeva a clienti ingenui merce a sovrapprezzo»[6], restituendo così allo spirito americano i tratti negativi del carattere di Apu, e salvando quelli positivi della cultura indiana che emergono in vari episodi: ospitalità, attenzione per la famiglia, cura della spiritualità. Hari Kondabolu conferma la sua posizione critica sul tema della brown voice – o smaccata imitazione dell’accento indiano, che dir si voglia – nello special del 2018 Warn Your Relatives (disponibile su Netflix), dove legge un sms della madre senza riprodurre alcun accento. Anche Rekha Shankar (New Face a Just for Laugh, 2020) sembra voler rinnegare quel tipo di umorismo che attinge dalle proprie origini solo per cavarne parodie dell’accento dei genitori e ironizzare sui matrimoni combinati.[7]

Sempre a proposito dell’imitazione del modo di parlare, mi viene in mente un episodio della prima stagione di Master of None (episodio 4, “Indian Actors”), creato e interpretato da Aziz. Aziz, nato in South Carolina da genitori indiani, è Aziz Ansari, anche se il cognome, dato il successo raggiunto, non è necessario: Amy Schumer – stand-up comedian, scrittrice, attrice, presentatrice della Notte degli Oscar nel 2022 – nella sua autobiografia The Girl with the Lower Back Tattoo lo identifica come “Aziz he-doesn’t need-a-last-name”.[8] Aziz è anche co-autore del libro Modern Romance[9] e autore e interprete di vari stand-up comedy special disponibili su Netflix,[10] ma è soprattutto alla serie autobiografica Master of None cui deve la sua notorietà. Il protagonista, Dev, è un giovane attore a New York. Durante un provino, si rifiuta di imitare l’accento indiano per interpretare un tassista perché non vuole contribuire a consolidare uno stereotipo: legare un mestiere di basso profilo a una provenienza etnica ha un connotato fortemente razzista. Descrive questa stessa sensazione Ram Adithya Arangi, di cui ho visto lo spettacolo The Local Tourist al Fringe di Edimburgo nel 2022. Ram è un comico originario – credo – dello Stato indiano dell’Andhra Pradesh ma trapiantato ad Amsterdam. Racconta che per via della sua provenienza chi non lo conosce affatto in Olanda ritiene sempre che sia un driver di Uber Eats o Deliveroo. Più accettabile è ironizzare sul legame (comunque stereotipico) tra l’etnia indiana e professioni più qualificanti come quella di ingegnere informatico o di medico, come fa Chris Di Stefano, comico di Brooklyn con cognome di origine italiana, che cerca un medico nel suo pubblico e subito pensa di individuarlo con ogni probabilità – e la sua ipotesi è presto confermata! – in una persona dall’apparenza indiana di nome Ranjev.[11]

Ritornando ad Aziz, mi sembra che si faccia promotore dell’idea che quando i media rappresentano le varie comunità devono farlo in modo che gli appartenenti alle stesse percepiscano il proprio contributo alla vita economica, politica e sociale delle nazioni in cui si sono radicati, superando luoghi comuni e pregiudizi discriminanti. La diaspora indiana conta grandi numeri e oggi i cittadini di origine indiana negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Europa corrispondono a quote cospicue della popolazione: è normale che il dibattito pubblico si focalizzi con un’attenzione sempre maggiore sul modo in cui le comunità vengono descritte. Ho notato lo stesso atteggiamento di Aziz in Cassie Workman, che nell’acclamato spettacolo Giantess [12] esplorava l’angoscia provocata dalla divergenza tra identità di genere e sesso biologico e, incidentalmente, prendeva le distanze da quel tipo di comicità che si basa sugli stereotipi legati alla propria cultura di origine, liquidandola come cosa troppo facile. Vir Das, comico indiano di fama internazionale (quasi otto milioni di follower su Twitter e diversi special su Netflix tra cui For India del 2020), ha esordito su Netflix nel 2018 con il monologo Losing it in cui fa sentire un accento smaccatamente americano. Spiega che ormai parla solo così perché vuole «calarsi nelle sue radici indiane e non c’è niente di più indiano di un falso accento americano».

Diversa e in un certo senso più legittima mi sembra l’ironia più glocal di Anuvab Pal sugli stereotipi relativi alle varie regioni dell’India. Molto apprezzato dal New York Times, Anuvab ha fatto il tutto esaurito in molti club, teatri e altre location in India e nel mondo, tra cui il Gotham Comedy Club di New York, ma se volete ascoltarlo in tutta comodità dal vostro divano su Prime è disponibile il suo monologo del 2017 Alive at 40. L’artista ha contribuito con vari contenuti multimediali a una mostra presso il museo Victoria and Albert di Londra, Laughing Matters: The State of a Nation. L’esposizione, che si potrà vedere fino al dicembre 2023, concerne la relazione tra comicità e identità nazionale. Anuvab è di origine bengali, ma vive a Mumbai. Con ironia contrappone gli abitanti del Panjab a quelli del Bengala, gli uni portati all’azione, gli altri decisamente più orientati all’introspezione e alla cultura. I panjabi, quindi, non sarebbero esitanti a combattere, mentre può accadere di sorprendere i bengali intenti a riflettere su una poesia, interessati alla ricchezza sempre e soprattutto delle idee.[13] Si tratta di un tipo di umorismo paragonabile a quello che in Italia gioca sulle differenze culturali e gli stereotipi delle singole regioni, ad esempio i veneti confrontati ai toscani.

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Bibliografia essenziale

ACQUARONE Lorenza, Voci audaci. La stand-up comedy in India sfida tabù e censura, Edizioni Le Lucerne, Milano, 2023 (Altrimondi – Collana diretta da Giorgio Fabio Colombo)

FEDERMAN Wayne, The History of Stand-Up: From Mark Twain to Dave Chapelle, Independently published, 2021. ISBN 13: 9798706637026

KAY Kavyta, New Indian Nuttahs: Comedy and Cultural Critique in Millenial India, Palgrave Macmillan, London, 2018

NÜSKE Lea Sophie, Comedy as Resistance: Indian Stand-Up Comedians and Their Fight Against India’s Anti-Democratic Tendencies, 2018 accessibile all’URL https://www.uni-potsdam.de/fileadmin/projects/wci/Masterarbeit_Indian_Stand-UpComedy_4485_.pdf

TAFOYA Eddie, Stand-up Comedy – Il nuovo genere letterario americano, (edizione italiana a cura di Filippo Losito), Sagoma Editore, Vimercate, 2016

Documentario I am offended, regia di Jaideep Varma, con Tanmay Bhat, Cyrus Broacha, Vir Das, Gopal Datt, Varun Grover, Vrajesh Hirjee, India 2015, durata 102′


NOTE

[1] Su YouTube: “Vidur Kapur – Funny Stand Up Comedy Indians are Not Direct”.

[2] Si possono reperire con facilità i suoi special su Netflix (“Notorious”, 2013; “Almost Famous”, 2016) e su Amazon  Prime (“Deported”, 2020, girato a Mumbai), e gli spezzoni su YouTube girati a “Just For Laughs”.

[3] Su YouTube: “Nik Dodani Performs Stand-up. The Late Show with Stephen Colbert”.

[4] Su YouTube: “Indian Food is So Good, it Kind of Undoes Trauma – Usama Siddique”.

[5] Su YouTube: “Priyanka Chopra On Simpson’s Apu Controversy”.

[6] Su YouTube: “Akaash Singh | Bring Back Apu | Full Comedy Special”.

[7] Su YouTube: “NBC / UCB Diversity Scholarship – Rekha Shankar”.

[8] Amy Schumer, The Girl with the Lower Back Tattoo, HarperCollins, Londra, 2016, p. 32.

[9] Aziz Ansari e Eric Klinerberg, Modern Romance, Penguin, New York, 2016.

[10] “Buried Alive”, 2013; “Live at Madison Square Garden”, 2015; “Right Now”, 2019; “Nightclub Comedian”, 2022.

[11] Su Instagram: Chris Di Stefano (@chrisdcomedy), 20 luglio 2022.

[12] Candidato al Melbourne International Comedy Festival nel 2019 per il riconoscimento come most outstanding show.

[13] Su  YouTube: “Anuvab Pal Stand Up Comedy On Being A Bengali: Rising Above Stereotypes | India Today Conclave East”.