Lakhaon Kbach Boran

estratto da: Fabio Morotti, Teatro e danza in Cambogia, Editoria & Spettacolo, Riano (Rm) 2010

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Teatro-danza di corte
Tecnica, repertorio, linguaggio e addestramento

In Cambogia, contrariamente a quanto possiamo immaginare e dedurre partendo dalla nostra esperienza delle arti performative occidentali, non esiste una precisa linea di confine che divide nettamente la danza ed il teatro. Nella lingua Khmer i termini generici corrispettivi per indicare la ‘danza’ (robam) ed il ‘teatro’ (lakhaon) s’intrecciano e scambiano continuamente, manifestando anche nel campo linguistico e semantico tutta la difficoltà esistente nel cercare di creare delle demarcazioni chiare ed univoche fra queste tipologie di rappresentazione. Infatti […] ‘il teatro si danza e la danza rappresenta’, visto che i modelli interpretativi sono contraddistinti dal fatto che il corpo con la sua mimica e gestualità può comunicare, secondo i casi, precisi significati letterali, come frasi e dialoghi di senso compiuto, attraverso la partitura fisica dall’attore-danzatore senza, quindi, ricorrere mai alla parola. […]

foto Daniela Pellegrini


Robam
e Roeung: musica, interpretazione e tecnica corèica

Nel repertorio del Lakhaon Kbach Boran, o tradizione delle danze di corte, si riconosce una basilare distinzione fra le coreografie che, senza sviluppare una trama, si limitano ad evocare un ambiente ed una situazione per lo più sovrannaturale, le cosiddette robam, e quelle che, i roeung (letteralmente ‘storia, racconto’), rappresentano storie e trame più complesse, ben radicate nella tradizione popolare (oltre che di corte), dove trova parte un numero cospicuo di diversi personaggi. Le distinzioni fra robam e roeung non sono però sempre così chiare. […] Infatti, all’interno dei roeung, convivono sequenze di  ‘danza espressiva’, dove i danzatori mimano letteralmente i fatti ed il contenuto delle parole cantate simultaneamente dal coro, assieme a quelle di  ‘danza pura’, tipiche delle robam, dove non esiste – se non poeticamente – tale relazione. Le robam, considerabili approssimativamente come sequenze astratte di movimenti, sono quindi molto più vicine a ciò che, in Occidente, s’intende immediatamente con il termine di ‘danza’ e, secondo gli studiosi, ben più antiche dei roeung, che da esse deriverebbero. […] Per questo tipo di spettacoli, abbastanza simili fra loro, dove l’epopea del Riemker e tutte le altre storie rappresentate sono raccontate attraverso un raffinato vocabolario di posture, movimenti e ‘gesti significanti’  [1], mescolate alle sequenze di  ‘danza pura’  tipiche delle robam, si può dunque tranquillamente parlare di  ‘teatro-danza’ o di  ‘teatro-danzato’.

Nel Lakhaon Kbach Boran (o ‘teatro-danza di corte’) la parte recitativa e narrativa della rappresentazione è affidata ad un coro che, situato nei pressi della scena, si sovrappone frequentemente alle melodie dell’orchestra pin piert, un gruppo orchestrale composto di una serie di metallofoni (il roniet daek, il kong vong thom e kong vong touch) e di xilofoni (il roniet aek e il roniet thung) che forniscono l’impronta musicale caratteristica del repertorio. L’orchestra pin piert si avvale, inoltre, di due diversi tipi di tamburi (il samphor e lo skor thom), di un tipo di strumento ad ancia simile all’oboe (lo sralay) e di piccoli cimbali (i ching) che hanno la funzione di marcare il tempo comune ai musicisti e ai danzatori. […] I musicisti non hanno un vero e proprio spartito musicale da seguire per intero, ma solo dei tempi generali su cui improvvisano congiuntamente. La musica dell’orchestra collabora però sempre attivamente alla rappresentazione; certi strumenti possiedono una loro propria funzionalità drammatica ed esiste inoltre un dialogo latente fra musicisti e danzatori, fondato essenzialmente sui due tipi di tempo principali (un tempo lento ed un tempo veloce) alla base d’ogni tipo di movimento coreografico.

[…] In generale, il canto lento e poetico, impostato su un tono molto alto, è scandito dai colpi squillanti e ripetitivi dei ching, piccoli cimbali d’ottone tenuti fra le dita della mano, e dal samphor [2], lo strumento più sacro dell’ensemble, sempre percosso in chiave ritmica.

A parte rare combinazioni con il roniet e lo sralay, le arie musicali del pin piert si esauriscono, sfumando, nell’interpretazione del coro, e poi ricominciano al termine, o poco prima, della fine del canto. […] Seduta su un materassino fuori della scena, assieme alle compagne del coro, la solista, in genere la cantante che possiede la migliore voce del gruppo, intona leggendo da uno speciale ‘libretto’ [3]  il testo della storia, frase dopo frase, seguita dal resto delle interpreti. Oltre a descrivere le situazioni e gli ambienti della storia, le arie interpretate dal coro possono prendere la forma di un colloquio o di un discorso fra i personaggi e sono le sole forme d’espressione verbale facente parte del teatro-danza Khmer.

La recitazione delle coriste è molto importante, non solo perchè permette al pubblico di seguire le vicende della storia, ma anche perchè fornisce il parametro di riferimento sul quale l’interpretazione delle danzatrici costruisce i vari toni poetici della rappresentazione. Durante istanti di suggestiva sospensione, le coriste declamano melodiosamente parte della storia, spiegano i sentimenti e le emozioni dei personaggi, mentre gli interpreti si muovono e mimano sullo sfondo del canto.

Mediante la sua pantomima, l’interprete del teatro-danza stabilisce un intenso e complesso dialogo con la narrazione del coro, interpretando il significato ed il contenuto delle parole in modi diversi: in una maniera ‘astratta’, vale a dire priva di collegamento con il significato testuale delle parole, oppure rappresentando, con i gesti delle mani e nella danza complessiva, i stessi sentimenti dell’animo umano che sono evocati dalle coriste. In questo modo l’amore, la tristezza, la collera, la gioia e molte altre emozioni umane, sono rappresentate in una maniera che è perfettamente codificata e formalizzata all’interno della tradizione corèutica.

Nel teatro-danza Khmer gli interpreti possono anche mimare letteralmente il testo (un sentimento o uno dei dialoghi che si produce fra i personaggi) che è contemporaneamente cantato dal coro, fornendo allo spettatore una sorta di fluida ed istantanea ‘traduzione in gesti’ delle parole. […] Uno stesso identico gesto o figura delle mani può assumere e denotare notevoli differenze semantiche, secondo il contesto e la collocazione spaziale nel quale è sviluppato, ed in base alla tipologia di personaggio che lo esegue.

Nel teatro-danza di corte si riconoscono quattro differenti ruoli, o tipologie di personaggi, alle quali le danzatrici sono indirizzate allo studio dalle maestre durante l’apprendistato. Si tratta del:

Niey Rong, o “ruolo maschile”, che comprende re, principi, divinità maschili ed anche personaggi più modesti come servitori e soldati;

Nieng, o “ruolo femminile”, che comprende personaggi quali regine, principesse, dee e anche figure più semplici come servitrici;

Sva, la scimmia;

Yeakh, termine che indica dei demoni, degli orchi o dei.

I diversi ruoli del teatro-danza sono riconoscibili fra loro in base al tipo di mascheramento e ad un particolare ‘atteggiamento corèico’, ovvero una particolare presenza scenica e una compiuta tecnica cinetica (il cosiddetto ‘linguaggio delle mani’ ne è soltanto una parte), che l’attore ha acquisito al termine di un lungo e specifico apprendistato. I quattro ruoli tipo possiedono, infatti, una serie di posture, di modi di camminare, di stare in piedi e di sedere, individuali, che li contraddistingue immediatamente. E anche il linguaggio delle mani e la mimica complessiva, che permettono all’interprete di esprimere un ventaglio di stati d’animo, d’emozioni e di significati diversi, rimangono codificati all’interno della tecnica del rispettivo ruolo.  […]

foto Daniela Pellegrini

Il repertorio del Lakhaon Kbach Boran

[…] La natura sacrale e propiziatrice delle robam è ancora oggi evidente. Alcune delle robam sono tuttora impiegate unicamente per scopi rituali, nelle funzioni reali e nelle cerimonie tenute in certi luoghi sacri della capitale, come il tempio di Wat Phnom, ma in generale tutte le coreografie del repertorio, dove le danzatrici assumono le sembianze delle divinità e delle forze sovrannaturali care al mondo Khmer, possono essere considerate in un certo modo ‘religiose’. Infatti, anche quando presentate nella forma di danze di benvenuto, ad illustri ospiti, o di buon augurio, come accade per esempio in occasione dell’inaugurazione di importanti edifici e istituzioni, le danze rimangono sostanzialmente offerte agli spiriti e ai numi tutelari che, interpellati dalla performance stessa, sarebbero immediatamente invitati ad osservare la rappresentazione [4].

A dispetto delle decine di danze che fanno parte del repertorio del Lakhaon Kbach Boran, difficilmente nel corso di un’esibizione pubblica non capita di incontrare le celebri Robam Apsara (“Danza delle Apsara”), Tep Monorom (“Il Soddisfacimento degli Dèi”), Robam Plet (“Danza del Ventaglio”), Robam Phkar Meas Phkar Prak (“Danza dei Fiori d’Oro e d’Argento”), Robam Mkò (“Danza del Serpente Marino”), e la “Battaglia della Scimmia Bianca e Nera” (Sva Prachap), pezzo probabilmente ispirato allo scontro fra i fratelli Sugrip e Bali narrato nel poema del Riemker. I tipi di roeung più comuni, oltre ovviamente a quelli estratti dal Riemker, sono invece le storie di Moni Mekhala e Riem Eyso [5] (la leggenda della ‘dea delle acque e del demone della tempesta’), dei principi Preah Sang, una versione Khmer della storia di Sang Thong contenuta nelle Jataka (‘il racconto delle incarnazioni anteriori del Budda’), e Preah Thaong, una delle più antiche leggende cambogiane.

Le molte storie raccontate nei roeung evidenziano però temi narrativi comuni e personaggi ricorrenti. Oltre alla figura del principe (semi) divino, il cui nome personale è preceduto dal prefisso Preah (un termine Mon-Khmer, sconosciuto al sanscrito, che significa’dio’ o’santo’), compare sempre la figura del suo maestro spirituale (l’eremita che in genere si chiama Eysei), un saggio dotato di poteri sovrannaturali e di un’eccezionale lungimiranza, votato alla meditazione ed alla povertà. L’intreccio delle storie dei roeung, come nei più classici dei copioni, ruota attorno all’eroina femminile, spesso figlia di uno yeakh, ed al tentativo dell’eroe di salvarla e sposarla, a dispetto delle difficoltà e dell’avversità del padre. Il tema dell’amore, tipico dei roeung, si sviluppa in genere a fianco di quello – altrettanto presente – della guerra, dello scontro fra le forze del bene e quelle del male. Una battaglia che a livello archetipico e realistico esprime l’eterna battaglia per il controllo del Femminile, «il doloroso passaggio della donna dal padre al marito»[6].

[…]

Durante la rappresentazione, il contesto sacro della cerimonia rende le danzatrici particolarmente potenti, delle messaggere identificabili con le stesse tevoda (divinità femminili) e con le altre forze sovrannaturali che esse interpretano nella danza. Nel corso della danza, infatti, l’offerente, vale a dire la danzatrice, e le divinità, a cui l’offerta è rivolta, diventano la stessa cosa, un tipo d’unione che presuppone che lo spirito ‘partecipi’ del corpo dell’interprete. In realtà, non dobbiamo pensare ad una possessione letterale del corpo della danzatrice, ma piuttosto di una ‘prossimità’ o vicinanza dello spirito interpellato. In occasioni come quella del Buong Suong Tevoda, molte danzatrici dichiarano di sentire chiaramente la ‘discesa dal cielo’ e la vicina presenza degli spiriti, venuti soltanto a vederle danzare e non a possederle, un tipo di fenomeno che è, invece, comune presso il tempio di Wat Svay Andet, fra i medium che assistono alle rappresentazioni.

L’attuale repertorio del Balletto Reale ricalca grossomodo quello del cosiddetto ‘periodo dell’indipendenza’ (1954-1970), pur non raggiungendone la passata, maggiore, consistenza. Negli anni Sessanta, nel momento di massimo splendore della moderna tradizione delle danze di corte, il repertorio consisteva in circa quaranta robam e sessanta roeung, sebbene la maggior parte di queste fosse soltanto raramente rappresentata per il prevalere di un numero più limitato di coreografie, che meglio s’accordava con i gusti della corte e del principe Sihanouk. […] Dopo la fine del regime di Pol Pot (1975-1979), con la morte di numerosi artisti e la distruzione di gran parte dei costumi e delle maschere del Balletto Reale, conservati da generazioni, la ricostruzione del repertorio fu limitata inizialmente ad alcuni episodi del Riemker, alle danze più sacre, in uso durante le cerimonie religiose come il Buong Suong Tevoda, ed a quelle che furono più celebri in passato. A partire della seconda metà degli anni Novanta, con l’avvento di una situazione politica meno precaria e valendosi di una nuova generazione d’interpreti, le insegnanti sotto la guida della principessa Bopha Devi hanno avuto maggiore possibilità di rivolgere i loro sforzi ed i fondi disponibili nel ricostruire e mettere in scena quanto non era più apparso sulla scena dal tempo della regina Kossamak. […] Ma l’ostacolo principale ad un recupero integrale (forse impossibile) del repertorio è la mancanza degli interpreti del passato, che rappresentarono e studiarono certi personaggi rimasti – da un punto di vista della trasmissione dei saperi – oggi vacanti, visto che gli scarsi materiali audiovisivi consultabili dell’epoca, fatta eccezione per le danze più celebrate, non possono essere sempre d’aiuto. L’impossibilità di avere un’esatta e completa memoria delle sequenze e dei movimenti, soprattutto dei personaggi meno celebri, trasforma in questi casi il lavoro di recupero in un lavoro di creazione e formulazione quasi integrale di certe parti delle danze, a partire delle memorie esistenti, dando vita a coreografie di sintesi rispetto alle lunghe forme originarie.

Con l’introduzione della danza classica in un contesto di fruizione ‘globalizzato’ e internazionale, dovuto anche alla presenza di una numerosa diaspora cambogiana negli USA ed in Europa, negli ultimi anni il discorso sul repertorio s’è fatto altro dal mero intenderlo come un lavoro di recupero e riproduzione di quanto apparteneva al passato. […] Gli stimoli all’innovazione e all’allargamento del repertorio classico, che riguardano soprattutto il lavoro della coreografa Sophiline Shapiro, si scontrano oggi frequentemente con l’atteggiamento conservatore tipico delle maestre di danza e dei funzionari del “Ministero della Cultura”, che si sentono protettori e responsabili della tradizione non solo da un punto di vista strettamente formale, ma anche spirituale, visto che il rispetto delle regole è ritenuto indispensabile per un corretto rapporto con il mondo sovrannaturale. In tale ambiente permane diffusa l’idea che la tradizione di corte ed il suo repertorio siano qualcosa d’immutabile ed ereditato rigidamente dal passato, anche se ciò sia stato storicamente più volte smentito. […] Infatti, fuori del numero ristretto di pezzi più sacri, il repertorio di danze Khmer è stato sempre suscettibile d’estensione e trasformazione da parte di chi ha avuto volontà e potere nel paese. Ciò dimostra che il processo di conservazione, che si realizza nel tempo attraverso la scelta e l’esecuzione delle coreografie che appartengono al repertorio, per gli ospiti o nelle dovute occasioni cerimoniali, ha riguardato sempre molto da vicino il gusto predominante della corte, dei potenti, ed oggi dell’ambiente accademico e politico di Phnom Penh.


NOTE

[1] Nel corso di un primo inventario del repertorio classico del teatro di corte, George Groslier, il celebre studioso di cultura cambogiana, rilevò circa millecentosessanta attitudini coreutiche principali. Si veda George Groslier, Le théâtre et la danse au Cambodge; in “Journal Asiatique” (Tomo CCXIV), num. 1, 1929.
[2] Il samphor è oggetto di speciali offerte nel corso delle cerimonie dedicate agli spiriti ed alle divinità protettrici della musica. In generale tutti gli strumenti si ritengono ‘essere controllati’ – ed i musicisti che li suonano protetti – da parte dei rispettivi spiriti, ma il kru samphor è certamente quello considerato più importante e potente dell’ensemble.
[3] In Cambogia questo tipo di testi è considerato sacro – prima d’ogni apertura è richiesto l’omaggio con il saluto tradizionale (sampeah) – poiché si ritiene che all’interno vi sia contenuto lo spirito dei kru, cosa che ne impedisce la visione da parte di coloro che non sono stati iniziati.
[4] Danze e musiche sono, infatti, considerate offerte irresistibili per gli spiriti, quanto di meglio l’uomo possa offrirgli per gratificarli.
[5] Questo demone è conosciuto anche con il nome di Vorachun.
[6] Paul Cravath, Earth in Flower, DatASIA, USA, 2007, pag. 267.


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